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giovedì 11 aprile 2013

Adriaan Van Dis, fra scrittura di viaggio e testimonianza


Adriaan Van Dis ci dice che a Incroci  è diverso:"qui mi sto raccontando in un altro modo, di sicuro non avrei detto in Olanda ciò che sto dicendo qui". E continua: "Io non devo trasmettere un messaggio, non credo ci sia alcun obbligo implicito, per uno scrittore, di intestarsi questo ruolo. Si parla spesso di 'scrittori di  viaggio' o di 'scoperta'; eppure quando viaggio non inseguo resoconti oggettivi per dare notizie, semmai  provo a cogliere le mie reazioni soggettive, nel contatto con  luoghi e culture diverse. Porto con me centinaia di block notes, mentre viaggio, e alla fine cerco di trarre qualcosa da una mole sterminata di appunti. Una volta pensavo di doverci andare prima fisicamente, in un  certo luogo, per poterne poi scrivere... Be', ora sono un po' cambiato, a volte mi pare quasi preferibile restare seduto sulla mia scrivania, mettermi lì  in santa pace e inventare."
E sul Sudafrica: "La prima volta andai in Sudafrica nel 1973, in piena apartheid, per fare studi utili per la mia tesi. Studiavo Africaans, all'epoca; una volta lì, fui invitato a lavorare per un movimento di liberazione di quegli anni; dovevo intercettare l'atteggiamento dei giovani, la sensibilità degli studenti sul razzismo. A Città del capo, in quel periodo, non si poteva neanche citare Mandela, era solo un terrorista bandito da ogni visibilità. Io scrivevo di Mandela, e cercavo di diffondere quei testi. Così mi revocarono il visto, e ho deciso di tornare in Sudafrica solo anni dopo, in modo illegale, per riprendere il lavoro; poi negli anni 90, quando il regime si fece più conciliante, la cosa fu più semplice. Volendo sintetizzare la situazione di oggi, direi che i bianchi si sono liberati, ma i neri non sono ancora liberi. La condizione precedente è interiorizzata dalla società sudafricana, per cambiare davvero ci vorranno generazioni. Eppure, nonostante la disperazione sia diffusa e palpabile, non voglio cessare di essere ottimista".

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