Gabriella Kuruvilla e Igiaba Scego: l'anima candida della letteratura e le "pecore nere"
da sinistra a destra: Pia Masiero, Gabriella
Kuruvilla, Tiziana Agostini, Igiaba
Scego
Gabriella Kuruvilla
Gabriella Kuruvilla: "Il mio romanzo (Milano, fin qui tutto bene, Laterza 2012) è un tentativo di "tuffo" da più angolature nella realtà della pseudoperiferia milanese, tentato attraverso i sensori e la
dimensione fisica del corpo. I media spesso amplificano la pericolosità di
certe zone della città, di solito si tira in ballo il
bronx; e questo ha un impatto fortissimo nell'immaginario quotidiano di chi
ci vive, esce, sviluppa relazioni. Il paesaggio urbano per me
ha la forza di un personaggio. La natura dell'altro in opposizione al Sé non coincide con una persona, oltrepassa i limiti di un
dato contenitore umano. L'altro 'è' il paesaggio. Mi interessa
l'intersezione delle tracce umane, restituirne la varietà un po'
come faccio nei miei quadri, qui attraverso la forma di una narrazione aperta, a
più voci".
Igiaba Scego
Igiaba Scego: "La mia è una storia personale
dolorosa, che non è potuta non filtrare, nel corso degli anni, nella
scrittura. Anche per me, come per Gabriela, ogni storia passa
attraverso il sensore dei corpi, credo anzi che ogni tema “corporeo”
sia di per sé un tema sociale; e abbia strettamente a che fare col
dilemma che a tutt'oggi vivono le cosiddette “seconde generazioni”
di immigrati. L'italianità è un vestito che richiede continuamente
tagli e adattamenti. In questo senso la persistenza sul mercato di
Pecore nere (Laterza), il
libro a più mani che scrissi nel 2005 con Gabriela,
vero e proprio long seller in costante diffusione, per un verso mi
dispiace: vorrei che quella dimensione appartenesse alla storia, che
si potesse leggere come il reperto di una fase esaurita
della sensibilità collettiva. Ma continua a vendere, il che mi fa
pensare che forse è un libro ben riuscito, ma che d'altra parte siamo rimasti
ancora tutti fermi lì".
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